Uscito a fatica da un assembramento di luminari del bagnasciuga, riparato il ponte di un precario castello di sabbia, si lasciò alle spalle il lido delle grandi batoste, trattenendo dentro il tepore della sconfitta come se fosse un terapeutico souvenir dell’inferno. Avrebbe voluto incontrare qualcuno per raccontargli il sapore delle cadute, spiegargli come si archiviano i successi sfiorati o ricordargli quanto le ritirate possano compromettere il salvataggio dei valori. S’allontanava come un guerriero ormai privo di battaglie, così cinematografico con la capigliatura arruffata, una nuvola mora in un cielo baciato da un’incertezza d’ordinanza. In una via esclusiva, corteggiata da bocche di begonie, il caso gli pose dinanzi il sorriso di un bambino che tirava calci a un pallone.
Dimenticò qualsiasi destinazione e, felice come i cavalloni, s’improvvisò portiere di un cancello, facendosi fare tanti di quei gol che i colpi ferrosi violarono la pace della controra e la pazienza del vicinato. Stanco di vincere sempre, il piccolo calciatore gli chiese di cambiare, provando a calciare più che a parare. L’uomo, dopo aver caricato lo sguardo con la luce degli appagati, accettò la sfida e prese una rincorsa da esperto rigorista. Il pallone finì oltre il cancello, in un giardino sorvegliato da un ulivo spaurito. Finì tutto in una risata e in poche parole: «Perdonami, ma vengo da un anno tolto dal calendario, in cui ho imparato il segreto d’ogni vittoria: coltivare, anche nelle piccole cose, l’attitudine a saper perdere».
Da leggere! Evoca ricordi. Molto bello.
Grazie Nunzia! Grato per il tuo giudizio. Mdf