Nel taglio di una primavera sbigottita, si ritrovò in un’aula offuscata, ferito persino nei sogni. Dalle finestre un giardino segreto di mandorli guerrieri e un’altalena viva nel tepore bianco delle siepi. Tra i banchi non era solo: sparsi in un’ora silente, dipinta di grigio brillante, c’erano altri alunni attenti, in divise blu, a sorvegliare la lavagna del tempo. Su un quaderno smeraldo dai fogli limpidi segnò le parole di una voce fuori campo, distante come il suono del ruscello in un dirupo: «Sta a voi scegliere i gessetti giusti, i colori della svolta o della perdizione. Non ci sono regole definite: spesso vi capiterà di dover giocare la partita con quelli che vi saranno dati o che recupererete, nell’odore dell’incertezza, prima d’ogni interrogazione. I voti dipenderanno esclusivamente dalla tenacia che mostrerete nel resistere alle domande del giorno. Qui non si promuove e non si boccia: qui si vive o si sopravvive». Col gessetto che aveva, chiuso il quaderno, l’alunno del tempo s’avviò alla lavagna, attraversando i banchi disinvolto come un eroe all’assalto decisivo, con gli occhi fissi ai mandorli e la voglia di giocarsela.
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Max, potresti riempire lavagne intere senza perdere un colpo.
Continua all’infinito perché le tue parole sono musica che non può fermarsi.
Ai miei alunni davo gessetti colorati.